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Mario Martone e Sergio Rubini, film su Eduardo Scarpetta e i fratelli De Filippo

I due registi stanno lavorando a copioni sulla dinastia

(Roma)- I due registi cinematografici, nati in palcoscenico, Mario Martone e Sergio Rubini, hanno deciso di girare due film, affascinati dalla natura misteriosa, magica, profana, rituale, dalla realtà inafferrabile del teatro, rimasto sempre sostanzialmente lo stesso dall’antichità a oggi e più volte dato per morto, specie propria alla nascita del cinema poco più di un secolo fa.

L’idea originale erano alcuni progetti non sappiamo quanto collegati per una o più serie televisive, che poi non si è riusciti a portare in porto, sull’avventura del teatro, dell’arte drammatica napoletana del Novecento di cui è sempre emerso il lato comico della tragedia del vivere. Due dei registi coinvolti in diversi modi non hanno comunque abbandonato il progetto focalizzandosi Martone su Scarpetta, nell’intreccio tra vita artistica e intricata vita famigliare sentimentale, e Rubini sui suoi figli d’arte, i tre De Filippo, rispecchiando assieme, forse ignaro l’uno del procedere dell’altro, un’evoluzione che ha le sue radici nella Commedia dell’Arte, trova la propria anima nella cultura antropologica e scenica napoletana, si fa più realista tra seconda guerra mondiale e dopoguerra, e matura nell’incontro con la visione del mondo e dell’uomo di Luigi Pirandello, specie per quel che riguarda Eduardo, che con l’autore dei ”Sei personaggi” collaborò e scrisse un testo a quattro mani, ”L’abito nuovo”.

Il film di Martone, praticamente concluso e che arriva dopo l’eduardiano ”Il sindaco del rione sanità”, si intitola ”Qui rido io”, come la scritta apposta sulla villa al Vomero di Scarpetta, ricco e riverito in tutta Napoli. A vestirne i panni è Toni Servillo, mentre la vicenda ha al centro il clamoroso processo nato dalla querela di Gabriele D’Annunzio in seguito alla parodia scarpettiana ”Il figlio di iorio”, da cui il napoletano uscì molto provato ma vincitore, grazie anche all’appoggio e testimonianza di Benedetto Croce. I tre bambini e poi giovani già avviati al successo nel 1925, quando Scarpetta muore, che tutti sanno essere suoi figli (solo nel 1972 Peppino parlerà però ufficialmente della cosa) e che lo chiamano zio, naturalmente hanno una presenza ben definita nel film.

Italian actor and director Sergio Rubini poses for photographs during the photocall for his movie ”Mi rifaccio vivo (I refer alive )”, in Rome, Italy, 02 May 2013. The movie will be released in Italian cinemas on 09 May. ANSA/CLAUDIO ONORATI
In quello di Rubini, ancora tutto da girare, ”I fratelli De Filippo” diventano invece i protagonisti con la vicenda che parte proprio dal 1925, con la scomparsa del padre. E’ l’inizio di un’avventura che li vede a lungo insieme, ma destinati, per diversità di educazione e carattere, a carriere artistiche personali, sciolta la mitica Compagnia Teatro Umoristico in cui operarono uniti.

Accanto alla vita artistica, anche qui – racconta il regista – le ”complesse vite private, le rotture, la difficoltà di misurasi coi sentimenti, una certa anaffettività di Eduardo che, alla fine della sua vita, parlò del gelo della propria esistenza”. I tre protagonisti Rubini dice di averli già scelti tra giovani attori napoletani e i loro nomi verranno fatti quando si potrà riaprire in tranquillità un set (e magari torneranno alla loro difficile ma necessaria vita anche i teatri)

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